Per meglio affrontare le asprezze del viaggio, gli uccelli migratori si alternano alla testa della loro disciplinata formazione. Che esempio per noi!
Sfide, rischi e sforzi sono costantemente presenti nella vita di questa Terra. Non solo per gli uomini, ma anche per gli animali. Per far fronte a tali ostacoli, la Divina Provvidenza li ha beneficiati con istinti mirabili, che possono fornire preziosi insegnamenti per noi. Per questo, diceva già San Giobbe: “Ma interroga pure le bestie, perché ti ammaestrino, gli uccelli del cielo, perché ti informino” (12, 7).
È quello che accade quando contempliamo le maestose “V” che, in prossimità dell’inverno, tagliano l’azzurro del cielo col loro vigoroso avanzare. Esse sono disegnate da schiere di uccelli migratori, che cercano un clima più propizio nelle regioni settentrionali del globo. Durante il lungo viaggio essi mantengono questa caratteristica disposizione, nella quale uno degli uccelli va davanti agli altri, proprio al vertice della punta. Oltre a essere bella, questa disciplinata formazione obbedisce a un principio di sapienza del Creatore: ogni battito di ali del capobranco crea un vuoto di cui approfittano quelli che vengono subito dietro, facendo loro economizzare una buona dose di sforzo. Lo stesso accade, successivamente, a tutti gli altri del gruppo. In questo modo, l’impegno di chi è in testa serve a beneficio di quelli che lo seguono.
Per meglio affrontare i venti, le correnti d’aria e le difficoltà del dislocamento, numerosi uccelli si alternano in questo compito. Così, dopo un certo tempo in cui mantengono una così fondamentale posizione, chi ha guidato la schiera recupera le sue forze occupando un posto differente in cui lo sforzo è molto minore. Non è difficile comprendere la lezione che questi uccelli del cielo ci devono dare, soprattutto se ricordiamo che siamo in una costante “migrazione” in questa valle di lacrime, che è la Terra.
Se, infatti, amiamo Dio, a Lui ci dirigeremo con fiducia e gioia, senza lasciarci abbattere dalle vicissitudini del cammino, e augureremo uguale felicità ai nostri simili. Questo significa, con frequenza, prendere l’iniziativa di incoraggiarli, secondo l’insegnamento dell’Apostolo: “E non stanchiamoci di fare il bene; se, infatti, non desistiamo, a suo tempo mieteremo. Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede” (Gal 6, 9-10).
Senza dubbio, quando le tempeste della tribolazione si abbattono su qualcuno, una parola o un gesto di conforto può alleviare il peso della sua disgrazia. Più importante, tuttavia, è essere preparati per affrontare gli scogli e i pericoli del lungo viaggio e, se necessario, farci avanti con gagliardia per aprire il cammino, permettendo che gli altri avanzino più decisamente verso la Patria Eterna. Se siamo generosi in questo compito, non temendo le difficoltà e le sofferenze di chi è chiamato a guidare, la nostra “schiera” avanzerà senza sperimentare le amarezze dell’egoismo, sull’esempio di Maria Santissima che persino nelle terribili ore della Passione è stata la guida e il sostegno della Chiesa nascente.
Con l’aiuto di questa Madre, che è la Fortezza dei deboli, saremo sempre animati e staremo animando, e, quando raggiungeremo la nostra destinazione finale, riceveremo la ricompensa di coloro che, avendo “indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre” (Dn 12, 3). ²
Fonte: Araldi del Vangelo · Gennaio 2017
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